Controcultura, consigli poetici. “Suditudine” di Letizia Papi, un inno alla bellezza del “margine”


di Anna Maria Di Pietro
Ci sono libri che restano attaccati alla pelle, perché si sono fatti sentire ovunque: nel cuore, fra i capelli, a fior di labbra, con le parole contate sulle mani e recitate come preghiere, impresse per sempre come tatuaggi.
Come la raccolta di poesie di Letizia Papi, carissima amica, cultrice e “salvatrice” dell’ottava rima, figlia della Maremma, che si è fatta “adottare” dal Molise, terra di cui è perdutamente innamorata.
Suditudine è il neologismo che l’autrice ha creato per indicare una sorta di melanconia benevola per i luoghi caratterizzati da particolari tratti: un po’ periferici e al margine, che non si trovano nelle mappe turistiche, su cui si posano gli occhi di pochi, e che la poeta colloca a sud, ma non solo come posizione geografica; si tratta di un sud quasi dell’anima, che regala sensazioni e percezioni particolari che restano anche quando si va via, capaci di farsi sentire nitide nel ricordo, invitando al ritorno, per vivere, però, sensazioni rinnovate.
La silloge, edita da Ibc Edizioni e divisa in quattro parti, ognuna con un titolo, Braci, Mediterranea, Ritratti e Polifonia, è una sorta di viaggio sensoriale attraverso luoghi reali che diventano paesaggi interiori, offrendo al lettore colori, sapori, profumi, gioie e dolori, descritti in maniera spontanea con versi dettati da afflati improvvisi, dove non c’è spazio per il pensiero artefatto e dove le rime sono “bimbe birichine” che quasi s’impongono, capricciose e irresistibili.
Una poesia onesta, senza filtri, dove lo sguardo poetico non si limita a guardare ma vede nel profondo, afferra la bellezza nelle cose piccole, coglie sprazzi di felicità, coltivando anche quell’illusione consapevole che aiuta a vivere.
Ecco, allora, che una piazza, un muro diruto, una casa diroccata, un mercato rionale si raccontano a chi è predisposto ad ascoltare quello che hanno ancora da dire, come, per esempio, le aree interne del Molise con la loro bellezza silenziosa che chiede di essere riscoperta o scoperta per la prima volta; il coloratissimo mercato della Vucciria di Palermo, dove si può riconoscere l’odore di una cultura multietnica nell’agrodolce, nelle spezie, nei piatti tipici che sanno di “qui e altrove”, e dove anche la puzza del pesce diventa profumo.
Ma la Suditudine può essere suscitata, oltre che dai luoghi, anche dalle persone, tutte quelle profonde, che hanno qualcosa da dire e lasciano un segno, un ricordo benevolo e la voglia di vederle ancora.
Posti e persone che la poeta percepisce, sente, fiuta, scavando al contempo nella propria anima e tornando a sé, in profondità.
Valori ancestrali profumano i versi di semplicità e, in un caleidoscopio di emozioni e ricordi, la Natura è cornice preziosa, dove il lettore incontra “Il poeta contadino”, Benito Mastacchini, poeta e cantore dell’ottava rima, preziosa melodia popolare gelosamente difesa, ereditata e divulgata oggi da Letizia.
Come fiori, nella raccolta si schiudono ideali e temi importanti, quali l’amore e la morte, la maternità, il dolore e l’illusione, la perdita e il ritorno, in versi che lasciano spazio al lettore per riflettere sul senso delle cose, invitandolo a fermarsi per respirare davvero, lasciando l’affanno e riprendendo il cammino con il passo lento di un camminatore di boschi.
Il tema della rinascita è presente nella poesia “Campalto”, una sorta di inno alla primavera, che regala una fotografia in movimento: la fuga e la rinascita insieme al Creato.
Una poesia nuda, asessuata, per tutti, verace e corale, quella di Letizia Papi, che non urla e parla ai puri di cuore, dedicata agli ultimi, ai dimenticati. Uno sguardo laterale verso le cose e le persone abbandonate, con quel senso di giustizia sociale che si sene forte e chiaro.