Tredici anni fa l’omicidio di ‘ndrangheta di Lea Garofalo: il coraggio di dire no alla criminalità organizzata e alla sua famiglia
“Il coraggio di dire no” proprio come il titolo del libro a lei dedicato dal giornalista molisano Paolo De Chiara. Parliamo della testimone di giustizia ( diverso titolo rispetto a pentita, proprio perché non aveva nulla di cui pentirsi essendo stata sempre fuori dalla ‘ndrangheta) Lea Garofalo. Oggi 24 novembre 2022 ricorrono 13 anni dal suo omicidio. Ricordiamo che fu prima ammazzata e poi sciolta nell’acido per ordine del padre di sua figlia Denise, il boss Carlo Cosco. Siamo a un giorno dal 25 novembre, data simbolo dell’eliminazione della violenza sulle donne, e oggi potremmo riclassificare quell’omicidio anche come femminicidio. Perché oltre ad aver detto no alla criminalità organizzata, ha detto di no anche al marito, che negli anni della loro unione era stato anche violento con lei. Un femminicidio di ‘ndrangheta quindi quello di Lea, che per un breve periodo era stata anche a Campobasso per cercare di sfuggire alla morte.
Fu proprio in Molise, nella sua abitazione di via Sant’Antonio Abate del centro storico del capoluogo, che le forze dell’ordine riuscirono a sventare un tentativo di rapimento.
La nuova abitazione trovata a Campobasso ha la lavatrice rotta. Lo sapeva anche anche Carlo Cosco, che nel frattempo vive tra Milano e Petilia Policastro e ha aiutato la compagna a trovare tale dimora. Il 5 maggio 2009 si presenta sotto mentite spoglie Massimo Sabatino, recatosi sul posto per rapire e uccidere Lea Garofalo. La donna riesce a sfuggire all’agguato grazie al tempestivo intervento della figlia Denise (che sarebbe dovuta essere a scuola) e informa i carabinieri dell’accaduto ipotizzando il coinvolgimento dell’ex compagno.
Pochi mesi dopo il 24 novembre del 2009 Cosco attira l’ex compagna (ormai fuoriuscita da mesi dallo speciale programma di protezione) a Milano, anche con la scusa di parlare del futuro della loro figlia Denise. La sera del 24 novembre, approfittando di un momento in cui Lea rimane da sola senza Denise, Carlo la conduce in un appartamento che si era fatto prestare proprio per quello scopo. Ad attenderli in casa c’è Vito Cosco detto “Sergio”. In quel luogo Lea viene uccisa. A portar via il cadavere da quell’appartamento saranno poi Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Il corpo di Lea viene infatti portato in un quartiere di Monza, dove viene poi dato alle fiamme per tre giorni fino alla completa distruzione (solo dopo la condanna di primo grado, Carmine Venturino inizia a fare dichiarazioni che nel processo d’Appello porteranno a rinvenire più di 2000 frammenti ossei e la collana della donna).
Aveva incominciato a parlare nel 2002, in cambio della protezione dello Stato per sé e per la figlia Denise.
Per lei sognava un destino diverso da quello che le era toccato in sorte, voleva che studiasse, perché sapeva che solo la scuola ti può far alzare la testa e dire di no.
Per questo aveva raccontato tutto: lo spaccio, le faide, gli omicidi. Quando è morta aveva solo 35 anni.