Sanità, Zagaria: la bandiera panamense sul Molise

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Qualche giorno fa scambiando qualche chiacchiera al pronto soccorso scopro che di turno sono dei nuovi colleghi. Sono venezuelani. A stento parlano e comprendono l’italiano. E tanto meno quello scientifico-medico. In una concitata intervista, qualche collega aveva riportato la loro nuova presenza nell’organico dei dirigenti medici in servizio al pronto soccorso. Una esperienza già iniziata per caso. Con la onlus La Piccola Venezia. Non a caso sottolineando e sopravvivendo a quelle evidenti carenze. D’altronde ce n’è già di presenti in servizio in vari reparti del Veneziale. Anzi in tutta la regione e nei vari presidi ospedalieri. Una sorta di trasmigrazione della delegazione sanitaria venezuelana. Ricordate i medici cubani? Ed ucraini? D’altronde come fa un medico a svolgere adeguatamente la propria funzione senza conoscere bene la lingua? Quale è stato il loro percorso di studi? È conforme alle normative europee? Quale esperienza clinica hanno maturato altrove? Quali competenze posseggono? Soprattutto nel campo dell’emergenza – urgenza? A proposito sono vaccinati? Quale performance sanitaria può derivarne? Molte domande. Senza neanche bene conoscere a chi porle. Disperatamente sembra quasi che basti chiunque pur di riempire una casella di un turno di servizio. Soprattutto di un dirigente medico. Non importa come. Dopo anni di blocco del turnover e delle assunzioni, dopo i recenti anni di sfregio al rigore medico – scientifico in corso di pandemia, logorando i capisaldi delle evidenze che si perdono nella memoria delle pagine dei sacri testi, ma soprattutto dopo la deleteria politica, su tutto il territorio nazionale, tesa a distruggere la tutela del diritto alla salute che inizia tra i banchi universitari, liddove inizia la terrificante selezione del numero chiuso all’ingresso alla laurea in medicina e chirurgia e a tutte le specialità, ebbene a Isernia giungono salvifiche truppe di medici venezuelani. Ne siamo felici. Non fosse altro che per queste perplessità gigantesche. Che non trovano congruenza. Qualcuno, irriconoscente, ha sostenuto “solo in Molise potevano venire “. Viene da sorridere. Amaramente. Il Molise non sembra regione appetibile nonostante la qualità della vita media. Nonostante i panorami naturalistici, il cibo genuino e la bella gente. Non sembra appetibile tanto più professionalmente. Nessuna crescita possibile, nessuna meritevole carriera possibile, un contesto lavorativo difficile, ostile , articolato, insufficiente, alle dipendenze di tanti turni straordinari da coprire ben retribuiti con deficit di risorse e di organizzazione. Il debito pubblico è divenuto spropositato. E poi alle dipendenze di responsabili o facenti funzione, che raramente son primari ( denominati direttori di Unità operativa) vincitori di concorso e corrispondenti ai colleghi più esperti, maestri di vita e di virtù, com’era un tempo, ma che sono contriti tra il budget di spesa, l’ossessione dei premi personali e gli obiettivi aziendali nel tirare avanti i servizi a qualsiasi costo, con l’impegno a coprire o scoprire, nel modo più indolore possibile, arrancando, i turni carenti di personale e di organizzazione. È invece il momento della verità. Tutta questa retorica deve terminare una buona volta. Ecco in queste occasioni ci sovviene quella terribile domanda: dove sono i paladini della sanità? La maggior parte stranamente zitti. Gli altri, complicemente felici, magari, in nome delle ideologie sinistre, di dare in pasto la sanità e la qualità assistenziale ai rispettabilissimi poveri emigranti d’oltremanica. E l’ospedale, pullulando di globalizzazione silenziosa, senza interrogativi e interlocutori scomodi, muore nelle fauci della propaganda rituale. Ma a quale prezzo? Quella recondita inelluttabilmente servile alla politica. Quella permanentemente sbagliata. Degli interessi, di una parte o dell’altra. A destra e sinistra . Sempre. Dove le proteste occorrono alle circostanze e alla visibilità momentanea. L’utenza, ignara, annuisce e subisce. Nessun grido per la colonizzazione latino-americana. Come sembra essere per il decreto Calabria con ospedali pullulanti di specializzandi dediti alla assistenza ma con tutte le limitazioni di legge. Le destre intanto hanno pronto sul tavolo il Decreto Molise. A noi sembra che il Molise martoriato sia oramai diventato terra di sperimentazioni tra plusvalenze e convenzioni private con spese inenarrabili, tardivamente poste in discussione, in procinto della prossima campagna. Tra mancanza di pianificazione, speculazioni, proteste strumentali, fiumi di chiacchiere, indifferenze istituzionali e complici silenzi sulla pelle degli utenti e dei cittadini, troppo spesso ignari.
Verrà il giorno che batteremo bandiera panamense innanzi agli ospedali molisani. Sarà sempre meglio che vedere sventolare la bandiera bianca. La bandiera panamense è l’ennesimo simbolo di glebalizzazione.
È invece il momento della verità. Il peggio sembra ancora da venire. È ora di svegliarsi da questo torpore e dalle bugie. È ora di smettere di nascondere tutto sotto la coperta per nutrire il proprio orticello. Il vento deve cambiare. Invece.
E presto. Noi abbiamo una visione sana ed un progetto di sanità.
Siamo Noi la speranza in un Molise migliore.
DOTT. NICOLA ZAGARIA.
COORDINATORE ALTERNATIVA MOLISE.
https://www.facebook.com/AlternativaMolise
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