Vaccino anti Covid, la decisione del Tribunale dell’ Aquila: illegittima la sospensione dal lavoro di alcune categorie

Lo ha deciso il tribunale dell’ Aquila in funzione monocratica nel nome del giudice Giulio Cruciani.
La sospensione dal lavoro di una persona non vaccinata come la vincitrice del ricorso era del tutto illegittima.
È solo una delle tante sentenze che verranno presto emesse da tutti i tribunali italiani che si troveranno a dover giudicare casi simili.
Il dispositivo di sentenza parla chiaro: il Tribunale Dichiara illegittima la sospensione della ricorrente dal lavoro a
decorrere dal 15.10.21 e condanna la società resistente al pagamento
in favore della ricorrente della retribuzione globale di fatto dal
momento della sospensione sino al ripristino della stessa, oltre
interessi e rivalutazione;
Condanna la società resistente
liquida in € 2.500,00, oltre spese, Iva e Cpa.
La premessa della sentenza lo dice chiaramente.
In prima battuta é stata valutata non la legittimità dell’obbligo vaccinale
anti Sars-CoV-2, ma la legittimità della sospensione dal lavoro per
assenza della vaccinazione obbligatoria per alcune categorie di
lavoratori o di una certa fascia di età, essendo questo il tema della decisione.
In seconda battuta è stato stabilito che deve respingersi con forza la tesi della società
che ha sospeso il lavoratore, secondo la quale un lavoratore può essere sospeso dal lavoro
senza che il datore gli comunichi alcunchè.
La sentenza poi arriva alle motivazioni.
Secondo la stessa procedendo a una valutazione costituzionalmente orientata (ed anche letterale) non
vi è alcuna norma di legge
che imponga un obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 per prestare lavoro
per determinate categorie di lavoratori o per lavoratori con una
determinata fascia di età, ma solamente l’imposizione di un tale obbligo
se e nei limiti in cui sia strumento di prevenzione dal contagio.
Tra l’ altro è da considerarsi il dato evidente
confema i che, allo stato, chi non
può infettarsi e infettare come può infettarsi e infettare chi ha
ricevuto una dose, due dosi di vaccino.
Evidenza scientifica e comune esperienza fanno assurgere tale dato nel
contesto attuale – contagiosità dei vaccinati come dei non vaccinati – a
fatto notorio ai sensi dell’art. 115, c.p.c..
Allora è evidente che venuto meno il presupposto per il quale alcuni
lavoratori possono entrare nei luoghi di lavoro ed altri no, la sospensione
della ricorrente, giustificata dal fatto che non sia vaccinata, è del tutto
priva di fondamento.
Per completezza si osserva che un eventuale atto amministrativo
(secondo parte resistente quello del PO) che imponesse una siffatta
discriminazione, che per quanto detto non è prevista dalla norma
primaria, sarebbe contra legem e andrebbe disapplicato.
In conclusione, alla parte ricorrente (alla luce della riduzione della
domanda, v.) deve essere pagata la retribuzione dalla sospensione
all’effettivo ripristino della stessa.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della
società resistente secondo la regola generale della soccombenza.